In effetti, nell’articolo sulla biofiltrazione, l’ho dato un po’ per scontato, mea culpa.
Trattandosi però, di una componente così essenziale in tutti i sistemi biologici, forse è il caso che proviamo a vedere più in dettaglio di che cosa si tratta. Sarà una trattazione volutamente semplificata, spero che i microbiologi, non se ne abbiano a male!
Il biofilm, è senza dubbio la componente più importante nei biofiltri ma, più in generale, lo è di tutti i sistemi o impianti biologici che sfruttano le abilità dei microrganismi (includendo anche le bonifiche con biorimedio).
Sapere cos’è, come funziona e quanto è indispensabile garantirne la sua rapida formazione, può decisamente cambiare il risultato finale.
È vero che i microrganismi, possono tranquillamente vivere sospesi in un liquido, in una forma indipendente chiamata planctonica, ma è anche vero che esistono altre forme, decisamente molto più efficaci, efficienti ed economiche, in cui, nella stragrande maggioranza dei casi, i microrganismi preferiscono organizzarsi, ossia i consorzi multicellulari, come: il biofilm (se su materiali solidi), o i flocculi (se dispersi in una massa liquida).
Oggi vorrei dedicarmi più che altro alle proprietà generali del biofilm, dato che le colonie microbiche organizzate in flocculi (come avviene, ad esempio nei depuratori), sono decisamente molto più dibattute e conosciute. In ogni caso, il principio, è più o meno lo stesso.
Il biofilm, in estrema sintesi, è costituito da una grossa comunità microbica, composta tipicamente da numerose specie di organismi differenti, sia procarioti (batteri, archea), che eucarioti (alghe, lieviti, funghi), avvinghiati gli uni agli altri e alla superficie, dove convivono e collaborano strettamente tra di loro.
Nel biofilm, tutto è perfettamente organizzato e ogni specie svolge differenti funzioni, inserendosi in una propria nicchia ecologica, all’interno dell’intero processo metabolico del micro-ecosistema. Le diverse specie, in pratica, grazie ad un diverso trofismo, una differente richiesta di ossigeno, al co-metabolismo, etc., rendono il consorzio molto più efficiente, evitando che le diverse specie entrino in conflitto tra loro.
Fondamentalmente il biofilm, è una sorta di “gelatina”: una matrice polimerica extracellulare – nota come EPS -, escreta dai microbi stessi, e composta da un insieme di macromolecole (come polisaccaridi, proteine, acidi nucleici, etc.). È tanto voluminosa – può arrivare a costituire anche il 90% del peso secco del biofilm stesso – quanto estremamente complessa dal punto di vista biochimico.
Rappresenta, in sostanza, un habitat vantaggioso, comodo e spazioso, dove i microrganismi, sono organizzati con una struttura comunitaria, simile a quella degli ecosistemi a scala maggiore.
Per la sua edificazione è necessario però, un notevole dispendio energetico, quindi, perché ne valga la pena, si impone che vengano trovate superfici con un’abbondante disponibilità di macro e micro-nutrienti.
Stiamo parlando di una matrice solida e robusta, in grado di garantire ai microrganismi un’importante protezione da numerosi stress ambientali. Tanto forte che, sotto certe condizioni, i biofilm possono addirittura fossilizzarsi.
Una volta formato, il biofilm:
agisce come una “spugna“, trattenendo l’acqua all’interno e evitando il disseccamento;
intrappola ed immobilizza le sostanze tossiche presenti, prodotte e/o assorbite dall’ambiente esterno, riuscendo a drenarle verso l’esterno;
protegge il consorzio microbico dai predatori esterni (come amebe, nematodi, etc.);
trattiene all’interno i nutrienti, garantendone la diffusione, oltre a favorire lo scambio di prodotti metabolici, utili per il co-metabolismo;
ma soprattutto, permette la diffusione di particolari molecole segnale, che i microrganismi utilizzano per comunicare tra loro (il cosiddetto “quorum sensing“).
Sembrerà incredibile, ma in alcuni biofilm sono stati rinvenuti addirittura dei canali d’acqua, la cui funzione era, da un lato, distribuire i nutrienti e le molecole segnale all’interno della comunità, dall’altro, convogliare verso la periferia tutte le sostanze di scarto ed eventuali esotossine.
La convivenza e vicinanza tra microrganismi all’interno di uno stesso biofilm, permette l’instaurarsi di legami diretti tra cellule (grazie a strutture specifiche come le fimbrie), che possono favorire il trasferimento orizzontale di materiale genico, tramite coniugazione.
Questo significa che, i microrganismi che crescono all’interno di un biofilm, possono essere favoriti dal punto di vista evolutivo.
Allora ricapitolando, il requisito essenziale per la creazione e la crescita di un biofilm (e quindi della colonia microbica), è la presenza di una superficie di supporto: solida, sommersa o molto umida, e che abbia o dia accesso ad un’enorme disponibilità di nutrienti. Poi poco importa se la superficie è di tipo biologico, come: terra, legno o anche un tessuto vivente (biorimedio, biofiltri, etc.) oppure inerte, come: roccia, metallo, plastica (bioscrubbers, biotrickling, etc.). Se tutte le condizioni generali, sono favorevoli (pH, temperatura, umidità, nutrienti, etc.), il biofilm si formerà.
Il ciclo di vita del biofilm, può essere schematizzato in 5 fasi.
Nell’immagine, sono rappresentate le 5 fasi fondamentali della formazione e dello sviluppo del biofilm.
Schematicamente possiamo identificarle come:
La superficie di supporto viene colonizzata da cellule planctoniche che, in qualche modo ci finiscono sopra.
Questa fase è molto delicata, infatti è anche definita di adesione reversibile, poiché caratterizzata da legami piuttosto “deboli” (tipicamente di Van der Waals).
In pratica la tenuta dipenderà dal tipo di interazione fisico-chimica che potrà crearsi tra la cellula e la superficie, ossia, dalle rispettive cariche elettriche e dai legami idrofobici;
Se il microrganismo valuterà la superficie come vantaggiosa, inizierà a produrre specifici sistemi di ancoraggio (come pili, fimbrie, polisaccaridi, etc.), che l’aiuteranno a rafforzare questa adesione.
Si tratta di fattori di adesione che, in realtà, possono essere prodotti dal microrganismo, sia preventivamente (come fase preparatoria), sia in risposta al contatto e adesione iniziale alla superficie.
Una volta insediati i primi coloni, questi potranno facilitare l’arrivo di altre cellule, mettendo a disposizione diversi siti di adesione cellulare e iniziando a costruire la matrice che permetterà l’integrità del biofilm. Alcune specie non sono in grado di attaccarsi autonomamente a una superficie, ma spesso riescono ad ancorarsi alla matrice o ai colonizzatori precedenti.
A questo punto, attraverso il meccanismo del quorum sensing, verrà comunicata la vantaggiosità della superficie trovata e verrà avviato il reclutatamento di volontari, per la costruzione del biofilm. Inizia così il vero processo.
Protetti dal biofilm, la colonia inizierà a crescere, sia per duplicazione cellulare, sia per integrazione con microrganismi di altre specie che arrivano dall’esterno, sulla superficie colonizzata. Si ha così, la formazione della prima microcolonia, territorio di frontiera, priva ancora di una specifica organizzazione.
Il biofilm maturo è distinguibile quindi, sia per le dimensioni maggiori, sia soprattutto, per un’organizzazione spaziale ben precisa: una sorta di struttura a fungo, che consente l’esposizione diretta, di gran parte delle cellule del biofilm, alle sostanze nutritive che giungono dall’ambiente esterno (come ad esempio in un biofiltro).
In particolare, gli strati più superficiali del biofilm saranno abitati preferibilmente da microorganismi che meglio sanno sfruttare i nutrienti semplici e l’ossigeno.
Mentre gli strati inferiori, dove le condizioni di vita sono più limitanti, saranno invece colonizzati da batteri che dovranno modificare il loro metabolismo e la loro crescita, rallentandoli. Costituiranno lo zoccolo duro, ossia la componente batterica più resistente e meno soggetta agli stress ambientali.
A questo punto, se la crescita del biofilm procede oltre una certa dimensione, questo può provocarne la rottura meccanica con rilascio di flocculi o di piccoli gruppi di cellule, che possono regredire alla condizione planctonica ed eventualmente colonizzare una nuova superficie, dando inizio al processo di formazione di un nuovo biofilm.
Ora credo sia evidente il perché il biofilm possa essere definito, il vero motore pulsante di un biofiltro.
Questa matrice extracellulare, se creata su ogni singolo elemento di cippato del letto filtrante, è in grado di catturare, rendere disponibile alla colonia microbica, e quindi eliminare, tutti i contaminanti organici e le molecole maleodoranti che, nel flusso d’aria, passando, impattano sulla sua superficie, rimanendo incollate.
Ecco per insisto tanto sulla sua corretta attivazione o eventualmente su un sul potenziamento: senza il biofilm, il biofiltro non funziona!
Ma non solo nei biofiltri, qualsiasi sistema biologico che utilizzi batteri, necessita di creare e mantenere un robusto biofilm in tutta la sua struttura: bonifiche con biorimedio, biotrickling, bioscrubbers, depuratori, e chi più ne ha più ne metta.
Ecco perché è così importante che tu sappia come creare le condizioni ottimali affinché il biofilm si formi e si mantenga robusto e stabile.
Non sai come fare? Contattaci saremo felici di aiutarti.
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